Mindfulness è vacanza
Ho capito perché ci piace andare in vacanza. Serve a interrompere la routine. Bella scoperta, direte, ma così come va di moda oggi, ci attacco una bella dimostrazione basata sulle neuroscienze. Con rimando a Mindfulness di Daniel Siegel, sembra che le strutture abitudinarie che vanno, come dice lui, “dall’alto verso il basso”, dove per alto s’intendono cognizioni e copioni emozionali stabiliti, ci impediscono di aprirci all’esperienza come tale, ovvero a sensazioni, cognizioni ed emozioni non predeterminate, non solite, non abitudinarie. Come dire: a forza di fare sempre le stesse cose diventiamo stupidi. E ci inaridiamo. E ci stanchiamo. La vacanza ci da nuove impressioni e così ci vivifica, ovvero produce nuovi sentieri neuronali, e questa sensazioni di emergente novità ci dà una nuova energia. Una volta si chiamava ricreazione. Ma mi domando: si deve per forza andare in vacanza? Una volta ho conosciuto un signore, credo in aula, che mi raccontava di fare percorsi diversi per andare al lavoro. Bene. Possiamo fare tutto in modo nuovo, anche mangiare l’uovo al tegamino che mangiamo di solito. Se ci concentriamo bene, scopriremo che non è mai lo stesso. I buddisti raccomandano di osservare come respiriamo. Provare per credere. Ci vogliono almeno dieci minuti, ma scoprirete che ogni respiro è diverso. E costruirete così nuovi sentieri neuronali, senza andare alle Maldive.