Questioni di cuore
Il film ci parla di un’amicizia virile. La cosa nasce in ospedale, dove i due si conoscono in lettino nel reparto infartuati. Uno (Albanese) fa lo sceneggiatore e affabula senza sosta, non tace mai, una ne fa e cento ne pensa. L’altro è un onesto carrozziere specializzato in macchine d’epoca, instancabile accumulatore di denaro e appartamenti, sposato con una bella donna e relativa prole d’ordinanza. Il fatto è che, una volta risolta la crisi cardiaca e dimessi ambedue, lo sceneggiatore, in crisi esistenziale e lavorativa, si accosta a questa famigliola, si affratella al carrozziere e addirittura, come fosse uno svago sabbatico, si mette a lavorare in carrozzeria. Ma il nostro carrozziere, saputo che il cuore non ce la farà, inizia a favorire non solo l’amicizia, ormai salda, ma anche i rapporti più intimi tra la propria moglie e lo sceneggiatore.
Nulla viene mai detto con chiarezza e in questo sta parte dell’eleganza e della bellezza del film. Ma è evidente che il nostro tragico carrozziere sta cercando di effettuare un passaggio di consegne: proprio per l’amicizia sul filo della vita e della morte che si è creata tra loro due, egli si figura di affidare la propria famiglia, moglie compresa, all’amico. Il quale, scoperto il gioco, dice no, o meglio, se ne va. Salvo poi farsi carico, almeno in parte, degli impegni tacitamente trasferitigli dall’amico carrozziere quando questi, infine, va incontro alla propria annunciatissima morte.
Il film è umano, ambiguo, scabro, sobrio e straziante. Ed eccelle proprio nel descrivere il difficile passaggio delle “consegne”. Il carrozziere, almeno in parte, le impone all’amico, ma forse di questo neppure è del tutto consapevole. Gli manca di rispetto? Forse, ma la questione è di altezza suprema, tale da svellere dal terreno delle consolidate regole sociali i paletti delle ragioni e delle facili decenze. Insomma, di fronte alla morte, quanto sareste disposti a mancare di rispetto a un amico per salvare e fare vivere ancora una parte del vostro mondo (amico compreso)? Fino a che punto sareste disposti a dissimulare e mentire ai vostri cari per perseguire quello che vi sembra il bene maggiore? E quanto sapreste, o saprebbero gli altri nel guardarvi da fuori, discernere in questa vostra condotta tra egoismo e altruismo? Oppure, in altri termini, per usare un ossimoro, quanto può essere egoista l’amore?
Le domande risuonano, lavorano, turbano, tornano in mente… e forse, come si addice davanti ai veri misteri, invece che rispondere è meglio tacere. Oppure, piuttosto, come hanno fatto gli autori di Questioni di cuore (la regia è di Archibugi), narrare. Perché se è vero che in questi casi una descrizione, per esempio delle gerarchie dei beni voluti e implicati dalle scelte dei personaggi (la vicenda può esssere letta dal punto di vista di ognuno), si scontra con paradossi inestricabili, ovvero (secondo il vocabolario filosofico) indecidibili, raccontare una storia, invece, ci permette di mettere le carte in tavola, mostrare le mosse dei giocatori e definire la posta in gioco senza giungere a una conclusione che si rifaccia a una legge. Una storia articola e gioca con temi universali, ma non li esaurisce. E forse, parlando di rispetto, una storia ci ricorda col suo solo narrare, senza legiferare, che il rispetto consiste proprio nel tenere presente che qualcosa sempre ci sfugge, trascende, va al di là di qualsiasi riduzione a una logica o a un calcolo definitivi. Non proprio un mistero, ma quasi: uno spazio che resta libero, in agio, per sempre nuove interpretazioni.