Da un po’ di tempo, quando ho un’idea che mi devo ricordare, mi scrivo una mail. Ricevere da me stesso, come fossi un’altro, una lettera, sia pure breve – anzi, specie se breve – ti cambia il punto di vista su te stesso. Intanto non sai più se esista un se stesso (specialmente se fai passare un po’ di tempo tra la scrittura e la lettura di ciò che ti sei mandato). E’ un po’ come farsi un regalo… magari a distanza (programmato su un sito che te lo recapita al compleanno, mesi dopo che lo hai chiesto)… in questo modo, un poco perverso, anzi schizoide, ricrei la socialità che ti fonda, e ti fendi in due ma sei in fondo sempre uno, ovvero, vale a dire, molti. Fin qui niente di nuovo… sarebbe come scrivere un diario e rileggerlo, lo faceva anche Madame de Stael. Oppure, per complicare il quadro, Laclos, mettendo in scena e in campo tutti gli scrittori di lettere e tessitori di pericolose amicizie. Ma la cosa nuova è il mezzo: ti arriva davvero. Qualcosa o qualcheduno, un certo dispositivo, ti distanzia da te stesso, ti fa altro e ti tratta e si presenta come tale. Come diceva un mio amico, cui furono amputate le dita della destra: “farlo con la sinistra è bellissimo, sembra che sia un altro”. Insomma, in questo modo, ti separi, ti protendi e sopravvivi, ovvero sperimenti la tua morte.