Nella formazione e negli interventi organizzativi di sviluppo delle persone utilizzo uno stile maieutico: sono perfettamente in grado di fare l’attore e motivare le folle ma in generale i gruppi, secondo me, non hanno oggi bisogno di ciò. Ci vuole piuttosto la capacità di portare le persone a vedere in cosa consiste l’ostacolo e, insieme, fornirgli strumenti e motivazioni per superarlo.

Mi occupo di soft skills e comunicazione, dal web writing alla leadership, dalla negoziazione alla gestione dei collaboratori, dalla comunicazione persuasoria al problem solving, e sono convinto che queste capacità si sviluppino più facilmente in modo olistico piuttosto che analitico: l’analisi va bene per la diagnosi, ma per imparare a suonare la chitarra bisogna soprattutto suonare la chitarra.

Di conseguenza non amo l’aula tradizionale, ma piuttosto il laboratorio, o meglio la palestra: lavoro di preferenza su casi reali e mediante metodologie concrete e attive come il project working, il team coaching on the job, il confronto tra pari in gruppi di apprendimento, dove svolgo il ruolo di facilitatore (che non significa affatto non prendersi la responsabilità del processo, anzi).

Naturale approdo di quanto sopra è la collaborative organization, anche nei suoi risvolti tecnologici: piattaforma, community building, facilitazione delle conversazioni organizzative e via discorrendo. Ma il focus qui non sta nella tecnologia, quanto piuttosto nell’orientamento a fare emergere capacità e competenze che restano spesso silenti, se non le si va a stimolare.