Amore mio
“Amore mio, non ho parole per scrivere questa lettera… la sto scrivendo nel vuoto dello spazio. Forse al tuo ritorno non mi troverai. Allora questa lettera sarà per te il mio unico ricordo… La vita può davvero essere lunga. Com’è duro e lento per noi questo destino di morire soli. Come può questo destino toccare a due esseri inseparabili? Cuccioli e infanti, quando ce lo siamo meritato? Tu hai meritato questo, angelo mio? Tutto continua come prima. Non so nulla. Sì, invece, so tutto… ogni giorno, ogni ora della tua vita mi appaiono chiari e distinti come in un delirio… Nel mio ultimo sogno ti compravo del cibo in un sordido ristorante d’albergo. Gli uomini intorno a me erano perfetti sconosciuti. Dopo averlo comprato mi rendevo conto che non sapevo dove portarlo, perché non so dove sei… Quando mi sono svegliata ho detto a Sura: “Osia è morto”. Io non lo so se tu vivi ancora, ma dopo quel sogno ho perduto ogni tua traccia. Non so dove ti trovi. Mi puoi sentire? Sai quanto ti amo? Non potrei mai dirti quanto ti amo. Neanche ora riesco. Parlo con te, solo con te. Tu mi sei sempre accanto, e io che sono sempre stata così dura e irascibile, e non ho mai saputo piangere semplici lacrime… ora io piango e piango e piango ancora… Sono io: Nadia. Dove sei tu?”
Da una lettera di Nadeźda Mandel’štam a Osip Mandel’ štam, datata 22 Ottobre 1938 e mai spedita…
Mi viene da piangere, anche a me. L’ho riportata perché penso che ci faccia capire cos’è l’amore. Ma devo anche ringraziare Paul Auster: è lui che ci fa conoscere questo pianto, quest’assenza presente, nell’ultima pagina di un grande libro: L’invenzione della solitudine. Il vero amore comporta solitudine?