Dio è morto: come molti sanno è una celebre affermazione che appare nella Gaia Scienza di Friedrich Nietszche, il quale, in realtà, voleva in tal modo significare che non c’è più alcunché di stabilito, sia esso un grande valore, una certezza, un motivo più importante di tutti gli altri, per fare qualsiasi cosa. Ecco, sì hai capito: qualsiasi cosa. Ancora per molti di noi, a volte, un’affermazione così fa l’effetto di una doccia gelata. Ci sembra che ci tolgano il terreno sotto i piedi. Ed è un po’ strano, perché tutto il pensiero del secolo scorso è impregnato di questa perdita dei punti di riferimento.

I concetti con cui interpretiamo il reale ponendone unilateralmente in evidenza solo alcuni aspetti, sono frutto di drastiche scelte, costruzioni irreali, “quadri fantastici” utili per conoscere e dominare (non per rispecchiare) il mondo.

È un passo tratto dal capitoletto sul grande sociologo e filosofo Weber scritto da Remo Bodei – uno dei più insigni studiosi italiani – nel suo bel libro, recentemente rieditato, dal titolo La filosofia del Novecento (e oltre). Certamente, va detto, qui si sta parlando della ragione strumentale, scientifica e tecnica, ma la presa in carico dell’abbandono di una verità unica e valida sempre per tutti vi appare chiaro. È quanto spesso va sotto il nome di nichilismo, o fine della metafisica o crisi dei fondamenti. Insomma, per dirla in una parola: non siamo più certi di nulla. Per lo meno di fondamentale.

A volte, come dicevo, può essere un dramma. Nella mia pratica di consulente filosofico e life coach ho avuto casi di persone che stavano perdendo la fede, anzi che l’hanno persa definitivamente proprio nel corso del lavoro filosofico e personale con me. In particolare un giovane uomo di circa 30 anni che aveva rinunciato a una vita dedita a Dio: “Ecco, ora sono perduto, se Dio non c’è, allora nulla ha più senso”, mi disse quasi piangendo un giorno, senza sapere di riecheggiare in modo quasi perfetto tanto Nietzsche che Dostoevskij, il quale nei Fratelli Karamazov fa esclamare a uno dei protagonisti la celebre frase: “Se Dio non c’è, tutto è permesso!” In effetti il problema non è tanto ontologico, ovvero non riguarda tanto com’è fatto il mondo, quanto etico, ovvero relativo al “che fare?”. In cosa dobbiamo credere? Come dobbiamo comportarci? Quali sono i principi del nostro agire? Quale senso ha la vita?

Sono tutte domande a cui i Grandi Racconti del mondo precedente alla morte di Dio davano risposta, fossero essi cristiani o meno. “Dio è morto, Marx è morto e nemmeno io mi sento molto bene” diceva Woody Allen in uno dei suoi film, alludendo proprio a questo venire meno di qualsiasi autorità assoluta tanto morale che intellettuale. In pratica, per il mio giovane ex uomo di Dio il problema si traduceva così: prima, con la fede, avevo le buone istruzioni su cosa credere e fare, ora, che ho rinunciato a credere, non ho più le istruzioni. Sconcerto, panico. Dove sono le istruzioni? Cosa dobbiamo fare? Cosa dobbiamo pensare? Capita spesso durante un coaching o una consulenza filosofica di arrivare a questo punto, e non è necessario avere perso la fede in Dio. Basta avere capito che non ci sono certezze assolute, autorità al riparo da critiche e debolezze, padri fondatori in cui riporre la fiducia nel futuro. E quando si capisce questo, spesso ci si sente disorientati, talvolta molto spaventati. Come facciamo adesso?

Di solito la “cura” passa per una paziente costruzione di certezze “relative”, perché non è vero che se non abbiamo certezze assolute allora ci vengono i meno i criteri per pensare ed agire. Criteri ne abbiamo, e molti. Per esempio quando al mattino scendiamo dal letto diamo per assodato che ci sia il pavimento. Oppure diamo un certo valore alle opinioni di qualcuno, autorevole e degno di fiducia. Ma la cosa per molti difficile da sopportare è che non ci siano più punti di riferimento assoluti. Si tratta di un bisogno diffuso, per certi versi comprensibile, ma purtroppo, oggi, soddisfarlo è difficile, se non impossibile. E non ci resta che l’amara pratica di decidere da noi (io, tu, i gruppi di persone) che cosa per noi sia vero, che cosa sia giusto e così via. Un compito difficile che, come diceva Freud a proposito della pratica psicoanalitica, assomiglia al prosciugamento dello Zuiderzee – un mare interno olandese. Un compito che richiede cura dei pensieri e delle loro conseguenze, attenzione alla coerenza tra parole e opere, revisione costante e tanta attenzione. L’alternativa è avere libretti di istruzione scaduti e altrui, spesso inefficienti e magari fallaci. Anche se si crede in Dio, perché oggi non puoi più credere in Dio perché ti hanno detto di farlo: devi crederci tu. Insomma come diceva Jean Paul Sartre:

La vita non ha senso a priori. Prima che voi la viviate, la vita di per sé non è nulla, sta a voi darle un senso, e il valore non è altro che il senso che scegliete.

Per quanto riguarda Dio, la mia opinione sul nostro rapporto con lui è ben rappresentato dal finale di un romanzo di fantascienza che amo moltissimo: Venere sulla conchiglia, di P.J. Farmer, dove alla fine di una lunga ricerca una saggissima creatura aliena risponde al protagonista più o meno così: “Dio? Si, lo conosciamo, abitava da queste parti, ma qualche secolo fa ha detto che andava a farsi una birra e da allora non lo abbiamo più visto”. Alla tua serenità e alla tua saggezza!

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