“La Dea Universale, la Madre del Mondo, è, tra le grandi divinità tutelari conosciute dai miti di tutto il mondo, una delle più antiche e dotata del respiro più ampio. E’ rappresentata ovunque in santuari (….); essa fu conosciuta dalle culture del Mediterraneo sotto vari nomi – Cibele, Iside, Ishtar, Astarte, Diana; era la Magna Mater.”
Così dice Heinrich Zimmer, nel suo splendido Il re e il cadavere (Adelphi) richiamandosi a una serie di studi ed indagini tra cui primeggia a mio avviso quella di Robert Graves, La Dea Bianca (sempre Adelphi, è genere adatto all’editore). Ma al di là di qualsiasi ripescaggio più o meno erudito o neoromantico di antichi miti che furono, considerando che forse oggi il mito ha ancora qualcosa da dirci nella misura in cui si occupa di quelle questioni che James Joyce riteneva “gravi e serie”, ovvero, preciso io, quelle a cui non c’è risposta al livello della decidibilità propria alla logica del terzo escluso e del principio di non contraddizione (che non sono la stessa cosa), credo che le parole più interessanti Zimmer le dica una pagina più avanti: “Sembra che il nocciolo del mito della Dea sia questo: a nessuno è permesso di rimanere a lungo quello che è”.
E’ proprio il caso di dirlo: sante parole.