“Roger dice che non esistiamo. Macché, solo noi esistiamo davvero. Loro sono le ombre a cui noi diamo sostanza. Siamo i simboli di tutto questo trambusto vano e confuso che chiamano vita, e solo il simbolo è reale. Dicono che recitare è soltanto finzione. Questa finzione è la sola realtà.”

E’ la pagina finale di La diva Julia di Somerset Maugham, grandissimo scrittore, e mi pare interessante perché mostra come la dialettica tra realtà e finzione sia complessa e paradossale. La vita “vera” quella dei personaggi non attori, è in realtà vana e confusa e solo la finzione degli attori sul palcoscenico, l’arte, è vera realtà. “Solo il simbolo è reale” dice Maugham per bocca di Julia, che è molto più perspicace di lui, il quale una riga dopo si precipita a filosofeggiare dicendo di lei che ha reinventato “di testa propria la teoria platonica delle idee”. La teoria di Julia non è per nulla platonica. Se mai nietzscheana, forse, e comunque diversa da quella di Platone perché le ombre vane e confuse non sono riflessi delle splendide idee reali. Ne sono invece l’origine. L’arte, il linguaggio, il simbolo danno forma a qualcosa che c’è già e che loro prendono in carico, con una certa protervia e violenza, per portarlo a intelleggibilità.La finzione degli attori resta tale, non è la realtà più vera: “Tutto il mondo è teatro” dice, anzi pensa, poco prima Julia, “e uomini e donne solo commedianti”. Insomma incipit coemedia, come mi pare citasse appunto Nietzsche riferendosi a Dante Alighieri. Una commedia divina, come divina è la diva Julia….