Uno dei numi tutelari del pragmatismo, William James, ci narrò un bel giorno l’apologo della fidanzata automatica, che più o meno liberamente interpretato suona così: un uomo (tu) ha una fidanzata perfetta, di cui è innamoratissimo e che si comporta esattamente come per lui è il meglio possibile, compresa una piccola quota di dissenso e divergenza (insomma, rompe un po’, come è giusto che sia). L’uomo é felice, solo che un bel giorno gli rivelano, inoppugnabilmente, ovvero svitandole un pezzo di cranio, che è un automa, perfettamente programmato per stare con lui. Ora, posto che un tale oggetto (se è un oggetto) non esiste, la domanda che vorrei fare è: qualora esistesse, l’uomo (tu… ovviamente la storiella si può simmetrizzare per le signore), continuerebbe a essere innamorato di lei o no? La risposta, io credo, è no. Ma quello che è interessante è il perchè. Andiamo per le spicce, senza tante elucubrazioni: quello che è cambiato è solo che adesso lui lo sa, ovvero sa che lei è un automa. Prima a lui la fidanzata (segretamente automatica) andava benissimo, anzi, era la donna della sua vita. Dunque cosa è cambiato? Che lui ora sa che lei non era come lui pensava che fosse, ma bensì lei è com’è, ora che sa com’è. Ma qual’è la differenza? Che è programmata. Ovvero non è libera. Ma che differenza fa? Perchè nella pratica non c’è nessuna differenza, l’unica vera differenza è che lui lo sa. E dunque? Cosa manca alla fidanzata automatica? Nulla, eppur qualcosa, un “non so che”. Anzi precisamente un “non so che” inteso nel senso di un margine di alea e di rischio, vale a dire per l’appunto l’idea, anzi il fatto, che non sia tutto prefissato. Tralascio di inoltrarmi nella discussione su cosa sia la libertà, perché credo che sia più interessante restare su questo reperimento indiscutibile: se lui non lo avesse saputo… ma ora che lo sa… E ricordare che quel “non so che” che fa la differenza è un tema discusso sia in estetica (direi nel ‘700 soprattutto se non ricordo male) sia da Lacan, che lo collega all’oggetto /a/ ovvero a quel sovrappiù fatto di niente in cui si cela il segreto del nostro desiderio e, infine, da Jankelevic che ha scritto il bellissimo ll non so che e il quasi niente (appunto). Ora, cosa accomuna tutte queste visoni? Che hanno in comune queste diverse riflessioni sul “non so che” che, ricordo, rende una fidanzata vera migliore di una fidanzata automatica? Con l’idea di singolarità, di contingenza, di irripetibilità. E infatti, a ben pensarci, non vorrei la fidanzata automatica perchè se ne potrebbe fare… un’altra uguale.



Oppure, ipotesi estrema, forse potrei volere una fidanzata automatica, a condizione di non avere più nulla da aspettarmi da quelle vere. Che è in fondo la condizione di quello che chiamo il soggetto postraumatico (vedi i tag omonimi): la disperazione, il futuro azzerato, l’assenza di desiderio… se non mi aspetto più nulla, allora una fidanzata automatica è perfetta. Mi allevia il dolore. Come lo Xanax. Ma ecco che, forse, lei potrebbe rivelare, in modo sottile, un volto nascosto, perchè in fondo chi può essere certo che non possa esprimere una soggettività? A volte è nel più profondo degli abissi della disperazione che può nascere la speranza e là dove c’è il pericolo cresce ciò che salva (Holderlin citato spesso da Heidegger). Già, perchè forse ancora bene non sappiamo cosa sia un soggetto (James non poteva conoscerlo, ma se avesse letto tutto quello che ci ha detto Asimov sui robot… per non parlare di Philip Dick, o dell’Odradek di Kafka).