“Non c’era fretta, ma l’idea di fare qualcosa per una persona morta lo rincuorava”. Sono parole scritte da Qiu Xiaolong in Quando il rosso é il nero, libro che vi consiglio insieme a tutti gli altri dello stesso scrittore, un cinese in U.S.A dall’89 che ambienta le sue detective story a Shangay, nella Cina degli anni di Deng Xiaoping. Si tratta di un modo accattivante per farci conoscere dall’interno una realtà che non ci é nota e forse un modo intrigante per conoscere il mondo in genere: la detective story, infatti, è oggi il genere di letteratura di maggior successo. Ma perché? Appunto… vediamo. Intanto è una ricerca e, come dice Xiaodong stesso in uno dei suoi retri di copertina, permette di bussare a molte porte diverse. E’ dunque, e inoltre, una quest, o forse un Odissea (ma dove mai ci fa tornare?). Inoltre come molti hanno detto già prima di me, la tensione è verso la colmazione di una mancanza, la ricostituzione di un equilibrio lacerato dal delitto. Tuttavia c’è qualcosa ancora di impensato, credo, nel successo clamoroso del “giallo” come modo per avventurarsi nel mondo. E non credo sia solo questione di ripristinare un equilibrio, secondo una visione molto ingenieristica ed omeostatica del da farsi di derivazione molto occidentale. Certamente la morte, il morto giocano un ruolo essenziale nel fascino del “giallo”, ma ci voleva forse proprio un cinese, un “altro”, uno straniero, per rivelarci quel che forse non vediamo: fare qualcosa per i morti, forse è proprio questo il punto. Il “giallo” é forse, in fondo, quella preghiera che non sappiamo più fare. Non dunque un equilibrio da ridare ai vivi, ma una pace da donare ai morti. Si, ci voleva davvero un cinese per ricordarci che i morti non sono solo morti. Infatti sono stati vivi.