Con rimando ai precedenti post che si trovano sotto l’etichetta “25 sfide per il management di domani“, la sfida per il management di domani numero 7 è:

Ridefinire il lavoro di leadership. La nozione de “il” leader come eroico decisore è indifendibile. I leader devono essere rimodellati come architetti di sistemi sociali che favoriscono l’innovazione e la collaborazione.

Ed eccoci finalmente! Il sacro totem della leadership è stato tirato in ballo! Del resto il nostro Gary Hamel (ricordiamo che è dal suo libro Il futuro del management che abbiamo tratto la sostanza delle 25 sfide per il management di domani) non poteva certo farne a meno. Ma vediamo di approfondire un po’. In primo luogo vorrei ricordare che quanto sopra presuppone uno spostamento lungo quello che è chiamato lo spectrum della leadership dal polo gestione-controllo verso il polo coaching-guida. E come potrebbe essere altrimenti? Se infatti bisogna generare innovazione, e per farlo è necessario un clima di collaborazione, ecco che il nostro leader da intrepido condottiero di truppe più o meno insipienti, inconsapevoli e illetterate si deve trasformare in leader politico di un popolo che sia in grado di essere soggetto (soggetto… bell’ambiguità di senso vero?). Anzi, a ben pensarci non deve essere un leader politico, ma un politico vero e proprio (se mai esiste, in questa accezione… diciamo di sì, se pensiamo a Gandhi, o magari a qualche grande statista del secolo scorso), ovvero un architetto di società, o meglio, come dice Gary Hamel, di sistemi sociali. Che significa? E soprattutto: come farlo? Posso dare solo qualche traccia di risposta. In primo luogo mi viene a dire che se si vuole far sì che tutti diano il meglio e tutti insieme si vada da qualche parte che abbia un senso, la prima cosa da fare è per l’appunto garantire che le persone sappiano cosa fanno e perché, qual’è l’obiettivo comune e addirittura la ragion d’essere del loro stare insieme a fare le cose che fanno e faranno. Il che mi fa venire in mente che forse servono degli ideali, dei valori comuni, dell’entusiasmo, della passione, della capacità di sacrificio. E in primo luogo da parte del leader stesso (mi viene in mente Gesù, del resto Hamel stesso dice che le religioni sono un buon modello di organizzazione, basata sulla passione). Inoltre, per fare tutto questo credo che il nostro leader debba essere credibile e autorevole. Forse anche amato e ammirato, perché no, ma solo in modo…. razionale, ovvero perché credibile e autorevole, il che in parole povere significa che… “mi posso fidare di lui”. E per dirla ancora in un altro modo, a un tempo più semplice e più filosofico (il riferimento è agli stoici), significa che il nostro leader fa quello che dice e dice quello che fa. Insomma è (come diceva Foucault nel suo splendido corso su L’ermeneutica del soggetto) un uomo di verità. E immagino che a questo punto ci sia chi, leggendo, sobbalza sulla sedia: verità? In azienda? Ma dai… Ebbene, si, è quello che sostengo. La proposta ha a che vedere con un tipo di leader e manager “in pubblico” (ricordate il riferimento alla politica poco sopra?), che non è solo una mia invenzione e di cui potete trovare esplicazione e riferimenti nel mio (e di Neri Pollastri) libro Il filosofo in azienda (che potete trovare qui, con una presentazione invece qui), dove tra l’altro sulla leadership ci sono diverse pagine. E per concludere, come sempre vi accenno la litania, o se volete la critica: ma perché di queste indicazioni spesso e volentieri non si prende atto? Sto scrivendo mentre i mercati crollano… speriamo non sia necessario toccare il fondo. Ma qual è il fondo?

Per maggiori informazioni vedi http://managementlab.com e “Le grandi sfide per il management del XXI secolo”, in Oltre la crisi, Piccola Biblioteca del Sole 24 Ore N. 19/2009, Il Sole 24 Ore.