Con rimando ai precedenti post che si trovano sotto l’etichetta “25 sfide per il management di domani“, la sfida per il management di domani numero 8 è:

Espandere e sfruttare la diversità. Dobbiamo creare un sistema manageriale che dia valore alla diversità, al disaccordo e alle divergenze tanto quanto alla conformità, al consenso e alla coesione.

In altri termini: democrazia. Non solo e non esclusivamente, certo. Diciamo allora… idiofilia? Amore e attenzione per ciò che è unico, strano, diverso? Questo è il compito. Perché la diversità è ricchezza, ulteriore possibilità, spazio di gioco e di manovra, brodo di coltura di nuove idee, soluzioni, procedure. Parlando da filosofo (che si è formato su Derrida, il cui testo forse più importante si intitola La differance, per cui figuratevi quanto sono d’accordo) la differenza è la vita, è l’origine di ogni cosa (lo direbbe anche Hegel). Ma scendiamo dai cieli dei filosofi. Che significa in pratica? E come si fa? Per quanto riguarda la prima domanda non mi viene in mente niente di meglio che rimandare al celebre discorso di Steve Jobs all’università di Stanford, che si conclude tra l’altro con l’esortazione a essere folli (sic!). Per quanto riguarda la seconda, posto che siamo d’accordo con quanto detto sopra, il problema è trovare il modo di ridurre i costi di transazione, negoziazione e traduzione. Si, perché, se è vero che diversità, stranezze ed idiosincrasie sono una risorsa, la questione sta nel come accedervi in modo efficace ed efficiente a costi bassi, evitando nel contempo che la loro stessa esistenza e vitalità non comporti costi o problemi (in parole povere che la differenziazione non combini casini). Ora, come dice Gary Hamel nel suo già più volte citato Il futuro del management, noi esseri umani abbiamo già da tempo inventato sistemi per valorizzare le differenze senza fare troppa confusione. Sono sistemi complessi, capaci di grandi fluttuazioni interne e, insieme, efficaci autoregolazioni. Sono le grandi città, i movimenti religiosi, i mercati, le società democratiche. C’è poi la vita, ovvero gli organismi biologici e le popolazioni (di merluzzi, di gnu, per esempio), che è un’altra e forse ben più importante maestra di come fare un sacco di cose tollerando una complessità e una differenziazione interna stupefacente. Si, certo, si dirà, ma a parte il fatto che non sempre queste cose hanno successo, come fare per organizzare un’azienda in quel modo? Con quali vincoli, regole ecc.? Ora, se è vero che città, mercati e così via non sempre hanno successo… bè, non fatemi dir delle aziende – vi ricordate i fratelli Lehman? Quanto alla questione vera e propria, quella relativa all’organizzazione di un’organizzazione così “disorganizzata”, lo strumento c’è. E non è soltanto un mero strumento, ma un modello, un paradigma: si chiama web 2.0. Le organizzazioni sono dei sistemi sociali? Che si attrezzino da social network!

Per maggiori informazioni vedi http://managementlab.com e “Le grandi sfide per il management del XXI secolo”, in Oltre la crisi, Piccola Biblioteca del Sole 24 Ore N. 19/2009, Il Sole 24 Ore.