Leadership e social leadership
Come cambia la leadership ai tempi dei social network? Come cambia il leader in un’organizzazione che utilizza i social media e le piattaforme tecnologiche per la collaborazione? Su questo argomento sono stati spesi fiumi di parole, per cui voglio limitarmi all’essenziale, con qualche richiamo e qualche link.
La prima riflessione da fare è che se si spulcia tutta la letteratura sulla leadership si scoprirà che la figura del leader già evocata da tanti guru del passato è esattamente quella che viene richiesta da un’azienda collaborativa e basata sul networking. Il leader deve essere inclusivo e condivisivo, essere esempio e favorire l’empowerment, aiutare e facilitare, ispirare, sfidare lo status quo, creare fiducia, essere integro e leale, sostenere il sense making, agire sull’architettura sociale dell’organizzazione, essere al servizio degli obiettivi comuni, essere autentico e onesto, coach e capace di fare story telling… e potrei continuare per un bel pezzo, così mi limito a rinviare a un insuperato libretto di G.P. Quaglino e C. Ghislieri: Avere leadership(Raffaello Cortina Editore)
Detto questo la vera domanda da fare è: cosa cambia allora nel leader e nella leadership con l’avvento di un’impostazione social e collaborativa? E cosa resta uguale? Cominciamo da qui: ciò che resta uguale, a partire dalla precedente configurazione dei modelli di leadership è il fatto che, come già da tempo accade, in un’organizzazione evoluta e in mutamento continuo le persone decidono un sacco di cose e i knowledge worker non si possono comandare a bacchetta. Insomma, il fatto chiave è che il lavoro si gioca sempre di più sulle aree discrezionali del ruolo, e anche oltre il ruolo stesso. Fine del modello “comando e controllo” e incipit “facilito e guido” (su questi temi mi permetto di rimandare a un mio post che peraltro parla delle visione della leadership secondo Gary Hamel)
E cosa cambia allora per la leadership? Se dovessi dirlo in poche parole direi questo: la rete ha fatto esplodere la tendenza e ha reso davvero possibile a costi molto bassi fenomeni come la collaborazione, lo sfruttamento della conoscenza informale, l’emergenza del capitale relazionale come fattore di successo.
Tutte cose che c’erano prima: come diceva già diversi anni fa Rick Buckingham, direttore di produzione dei tessuti tecnici di W.L. Gore&Associates:
Se convochi una riunione e la gente si presenta, vuol dire che sei un leader
se no non lo sei. Va precisato che in Gore da decenni chiunque è libero di fare quello che vuole, alla lettera. Il punto è che la diffusione del social networking ha reso il fenomeno pervasivo, con qualche specifico mutamento che cercherò di elencare.
Caratteristiche della social leadership
Il leader social deve usare i social network. Non è una cosa banale: molti non lo fanno e probabilmente vedremo dei veri social leader quando saranno ingaggiati davvero sulle piattaforme digitali.
Da qui una seconda conseguenza: la gestione della community va fatta in networking su piattaforme social, il che comporta un’enorme ampliamento delle relazioni (e delle potenzialità) che non può essere gestita al modo di una volta: quante persone raggiungi? Come le valuti? Come le metti insieme? La social leadership passa soprattutto di qui.
Terza conseguenza: la delega non è più piramidale ma in rete, il che implica per la leadership una ristrutturazione totale delle catene di comando. Non c’è più una “linea” a guidare il processo, ma una rete di relazioni con hub, influencer, esperti da ingaggiare e scoprire e così via.
Ne deriva, come quarta conseguenza, che la scelta della piattaforma non è affatto ininfluente. La piattaforma è un vincolo che definisce l’ambiente collaborativo e il leader dovrà fare molta attenzione a cosa questo vincolo consente e cosa no.
Quinta conseguenza: posto che li leader pone vincoli e da la visione, le interazioni multiple in rete, tuttavia, rendono davvero effettuale la leadership diffusa. E’ possibile che la figura del leader singolo sparisca e che con la social leadership, soprattutto, diventi molto più determinante il ruolo dei followers: sono loro che fanno il leader tale, e se possono scegliere… le leadership diventeranno porose e condivise, mutevoli e provvisorie.
Sesta conseguenza: il modello non sarà più la fabbrica, la piramide, l’organigramma, ma il movimento, e la collaborazione volontaria sarà la vera chiave di volta. Si dice spesso che si può portare il cavallo all’abbeveratoio ma non farlo bere: le organizzazioni avranno bisogno di cavalli che vogliono bere e sarà compito del leader creare le condizioni perché questo accada.
Settima e ultima (per ora) conseguenza: la parola d’ordine sarà evoluzione, nel senso darwiniano del termine: competizione interna, sperimentazione, velocissimo time to market, fallimenti veloci e tanto entusiasmo per riprovarci sempre. Il leader sarà non solo un architetto sociale, ma un giardiniere di ecosistemi. Il che significa essere capaci di nutrire, curare, aprire opportunità e, soprattutto, tollerare i rischi che tutto questo comporta su una scala che va ben oltre quella tradizionale, su dimensioni enormi e che travalicano i confini dell’organizzazione.
Per tutto il resto non posso che rimandare a Open Leadership di Charlene Li, un libro illuminate ed esaustivo.
E per finire, tre minuti di video di Derek Sivers in cui tutto quanto sopra viene spiegato con un esempio che sorprenderà: un tizio che balla da solo a un grande raduno.