(Ovvero: a che e a che pro pensare?)

Vi è chi ha parlato di “disincanto del mondo” ed è un dato di fatto che oggi sempre più ci troviamo di fronte a una “vacanza del senso”. Difatti non sappiamo più perché (e quindi come) agire, lavorare, riprodurci, amare, lottare, sacrificarci, insomma non sappiamo più cosa volere e nemmeno se vale la pena, anzi per cosa o per chi… vivere o morire. Storicamente parlando ciò avviene in conseguenza del fatto che le tradizionali agenzie culturali – le chiese e i raggruppamenti politici – sono diventate poco credibili. Ma al di là del costrutto intellettuale, dell’analisi e delle modellizzazioni, ognuno di noi vive il disagio del tempo e scopre a volte con sgomento che la “vacanza del senso”, per quanto condivisa con tanti altri (tutti…?), e quindi non semplicemente ascrivibile alla “psicologia”, è tuttavia un’esperienza che brucia e magari fa anche male, di certo inquieta e sprona alla ricerca di una soluzione.

Ma la “ricerca di una soluzione” scatena immediatamente efficientismi manageriali e velleità da problem solver che a volte è meglio scoraggiare. Non si tratta – in questo caso – di poca cosa. Non si tratta di una dissonanza cognitiva da ridurrre con l’uso più o meno retorico di slide, modelli o make up spirituali più o meno esotici e accattivanti… qui ne va della politica e della religione, anzi delle nostre vite e dei nostri rapporti con gli altri, nel privato e nel pubblico (sappiamo distinguerli… oggi?) o sul lavoro. E neppure la psicoterapia può servire: la via “individuale” non funziona, così come quella “collettiva”, perché è all’incrocio delle due che si situa il punto cieco…. Dunque che fare?

Pensare a quel che ci accade. Questo dobbiamo fare. E, per la prima volta nella storia, senza rete. Un po’ come accadde nell’Illuminismo, quando la gente si riuniva nei caffè, perché ciò che si pensava nei soliti luoghi non funzionava più. Oggi abbiamo bisogno di nuove idee e nuovi concetti, nuove immagini… e non funzionerà in questo caso l’outsourcing. Nulla e nessuno può oggi presentarsi alla porta di casa e dirci “sono la soluzione”, anzi, ciò sarebbe criterio certo per giudicarlo parte del problema. Per risolverlo, quindi, c’è un solo modo: cercare una strada, insieme ad altri perché la questione – questo è evidente – ci accomuna. Questo credo sia l’orizzonte “autentico” su cui traguardare nuovi fenomeni come il revival della filosofia, il propagarsi dell’interesse, quello serio, per il buddismo o il taoismo (che tra l’altro alla “vacanza del senso” dà una risposta secca e non occidentale: il senso non c’è, c’è solo il processo, l’acqua che scorre) e perfino i più o meno sinceri interessi delle aziende per i temi etici. Siamo all’alba di un nuovo paradigma di civiltà come sostiene il filosofo Pierre Levy quando parla di “intellligenza collettiva”? Penso proprio di sì… e d’accordo lui, ritengo che il pensiero sarà precisamente la posta in gioco.