Siamo un io o siamo un noi? La nostra politica, in senso lato, il nostro modo di pensare la società e l’associarsi non sta mostrando la corda? Non siamo (stati) troppo individualisti? Forse per attuare una vera svolta politico-sociale dobbiamo cambiare mentalità. Forse è necessario andare oltre alla nostra concezione di onestà, che rischia di essere quella proposta da Simon Cameron quando dice:

Il politico onesto e quello che una volta che si e lasciato comperare, resta comperato. 

Su Il Sole 24 Ore 18 gennaio 2015, in un bell’articolo in prima pagina del supplemento domenicale, Sebastiano Maffettone propone di correggere la nostra indiscussa e imperante liberaldemocrazia mediante l’inserto di alcuni contributi politici ed etici provenienti tra gli altri da Gandhi, contributi che richiamano in parte, secondo quanto dice Maffettone stesso, il concetto di  cura di sé di Michel Foucault. Senza esplorare questa analogia, che peraltro in quanto consulente filosofico ed esperto di pratiche filosofiche per le organizzazioni mi interessa molto, voglio prendere spunto dall’articolo di Maffettone per fare un riflessione su quanto a partire dalle considerazioni dell’autore potrei chiamare i presupposti morali della vita politica. Secondo la proposta di Maffettone, si tratta di lavorare sulle coscienze individuali dei politici per “proteggere l’io da se stesso” con una “terapia che comincia con una riduzione volontaria del desiderio e dei bisogni (…) molto radicata nella tradizione spirituale dell’India”. Precedentemente a questo passaggio, Maffettone aveva fatto il nome di autori quali Partha Chatterjee, Ashis Nandi, Dipesh Chakrabarty, Wei Ci, An Na’im. E ha pure affermato che dal campo concettuale in tal modo evocato si potrebbe trarre una nuova risposta alla crisi della liberal-democrazia, che secondo lui è antica, tant’è che rimanda esplicitamente ai totalitarismi in Occidente, laddove la “vecchia” risposta è finora avvenuta sostanzialmente in termini di partecipazione e trasparenza (con un particolare riferimento ai filosofi politici Habermas e Rawls). Ma aggiunge che ha “la sensazione che questo rimedio non funzioni” e aggiunge: ” credo piuttosto che ci sia bisogno di una vera rivoluzione culturale nell’ambito della liberal-democrazia. Questa rivoluzione potrà trarre ispirazione dall’austerità cinese invocata da primo Mao è riproposta di recente da Ji Wei Ci in maniera più compatibile con la tradizione liberal-democratica occidentale. Ma soprattutto – questa è la mia tesi di fondo – può trarre il nutrimento da Gandhi”. E a questo proposito l’autore parla della necessità di “purificare” la politica tramite un “mutamento della coscienza di ognuno”.

 

Sono d’accordo con questa impostazione e la voglio approfondire per ovviare alla sua apparente ingenuità. Essere onesti: è questa la soluzione? Come tale sarebbe risibile. Non è mai bastato – e già Gaber ai tempi suoi sbeffeggiava i radicali dicendo che volevano rivoluzionare la politica con l’onestà. Il punto è un altro. Si tratta di valori – ma vissuti, incarnati. Pensiamo alla religione: per me la religione è un mainframe che definisce il giusto sentire di una comunità, ciò che è lecito e cosa no, ciò che è sacro, ovvero intoccabile, e cosa no. Ma non voglio proporre una soluzione religiosa. Piuttosto basarmi sulle risultanze delle neuroscienze per proporre una base comune agli umani che sia una specie di religione, diciamo un’etica, ma non normativa, bensì fondata su basi naturali. Nessun gruppo umano considera una buona cosa fare violenza ai propri bambini in buona salute, per esempio. E tutti gli umani, compresi gli altri i primati, come pure molti mammiferi, accorrono al salvataggio dei cuccioli in pericolo, spesso perfino di cuccioli di altre specie. Intendo dire, con questi rapidi e insufficienti esempi, che abbiamo una naturale tendenza a comportamenti morali, tendenza che speso prende il nome di empatia: condividiamo con gli altri, al punto che possiamo in certi casi sacrificare la nostra vita per salvare quella di un altro. Detta in modo estremo: siamo anche gli altri. Siamo un noi e non un io – e a questo proposito rimando a un altro mio post:

http://www.caosmanagement.it/197-ethic-and-empathy-are-social

Di qui la pregnanza della proposta gandhiana (di radice buddista e induista) che richiede una certa riduzione delle pretese dell’io, ovvero la capacità (cito di nuovo Maffettone) di “proteggere l’io da se stesso”. L’io, va detto, non è una bella cosa, non del tutto e non sempre. Spesso ci mette nei guai e, come diceva per esempio Lacan, nella sua essenza fondativa è suicidario e paranoico: ricordate il mito di Narciso? E cosa diceva Gesù? “Ama il prossimo tuo come te stesso”! Che significa in pratica precisamente ridurre le pretese dell’io. Innumerevoli sono gli appelli di santi, saggi, scienziati e filosofi alla riduzione del potere escludente dell’io: se mi affermo a detrimento altrui distruggo la mia stessa base di esistenza e in tal modo, esattamente come facciamo con l’ambiente, seghiamo il ramo su cui sediamo dalla parte sbagliata! Quindi non si tratta di essere onesti, o meglio, di richiedere di esserlo, perché non è con una  norma che si cambia la questione. E’ riconoscendo le basi folli, paranoiche e suicidarie di secoli di liberismo individualista, quello che ci impone di pensare che noi siamo soli, che siamo prima individui e poi società, che homo homini lupus…  e così via: tutto questo non è vero, e oggi lo sappiamo anche scientificamente, alla faccia di Hobbes e di tutti i (falsi) darwinisti del mors tua vita mea, ovvero che vince il più forte, il più feroce ecc. Scemenze: provate a fare così in un veliero o in una squadra di calcio e vedrete che bei risultati.

Attenzione non voglio semplificare: so benissimo che un sacco di ragioni e questioni portano gli esseri umani a fare i bastardi e i banditi, e so perfettamente che abbiamo un lato, che non è solo oscuro, che ci porta a essere prevaricatori e violenti. Ma il mainframe di base è cooperativo, per lo meno all’interno del gruppo dei “nostri” – e certo non è un caso che la questione della polarità cooperativo / competitivo si presenti con tanta pregnanza e criticità quando i “nostri” sono tutti gli esseri umani e la stessa barca su cui tutti remiamo si chiama pianeta Terra. Ma proprio per questo la questione si fa urgente, vitale: non ci sono più nemici cattivi dai musi gialli o neri o blu da massacrare impunemente – e anche qui non è un caso che ormai gli altri brutti e cattivi siano tra noi: terroristi, sans papier, traditori e sabotatori e così via. Guerra civile diffusa e generalizzata, con satanici satrapi a goderne a nostre spese: questa è la prospettiva che ci aspetta se non risolviamo la questione alla radice. E per risolverla è assolutamente indispensabile che cambi il nostro stesso sentire, il nostro mindset, le nostre propensioni comportamentali. Se non includiamo l’altro nell’io, se non diamo più spazio al noi siamo condannati. E per farcela dobbiamo passare per la riduzione delle pretese dell’io.

Come farlo? Questa è un’altra questione. Questa è prassi politica. Ma se volessimo metterla giù dura e brutta, del genere “e allora cosa facciamo di concreto ora”… bene, allora propongo in via provvisoria di fare un test di personalità ai politici. Per selezionarli.

L’articolo “Meno io: una proposta politica“, è apparso per la prima volta su Caos Management n°97