Organizzare l’organizzazione
“Il punto di riferimento dei movimenti importa meno del movimento che inerisce al cambiamento dei punti di riferimento, la cui storia evolutiva (…) feconda ed entusiasma la ragione”.
M. Serres, Il mancino zoppo.
Traduzione per body based: segui l’onda e surfa da profeta! A parte le espressioni criptiche, intendo dire che, se si legge attentamente quanto sopra, ne consegue che quando diciamo che non ci sono più punti di riferimento, intendiamo per l’appunto punti fermi. In una realtà in continuo movimento non ci sono punti fermi, ma caso mai la forma dinamica che prende il movimento, ovvero il cambiamento dei punti fermi – e delle loro configurazioni. Avete presente le mappe storiche animate? Quello che conta non è la singola mappa ma il movimento della successione delle mappe, la sua forma dinamica tendenziale.
Tradotto in basic per l’esistenza significa che non ci aiuta tanto sapere chi siamo, ma piuttosto cosa vogliamo e in cosa ci stiamo trasformando. Motivo per cui da un po’ di tempo provo un certo fastidio di fronte a espressioni come “essere sé stessi” o “trovare la propria identità”: presuppongono che l’essere se stessi stia li fermo, ad aspettare. Invece si muove.
Il discorso è ancora più valido per i sistemi sociali e organizzativi: se tutto cambia velocemente come pensare di poterne fare una mappa? O un modello tradizionale? Ho detto forse… organigramma? Ma non è solo questione di forma: è proprio la forma stabile che non funziona più. Bisogna pensare in modo evolutivo, come fanno i surfisti con l’onda. Bisogna capirla. Capire come si muove. Dove sta andando. E non è solo un’immagine poetica perché le conseguenze sono molto pratiche e immediate: i modelli organizzativi non servono più, si sono schiantati contro la complessità, che non è solo questione di dati e di quanti dati, ma di tempo. E tempo vuol dire storia.
Ci vuole una mente storica, evolutiva, previsionale, profetica e poetica. Nel campo del project management vi sono già strumenti adatti a farci un’idea del flusso (eviterei la parola rappresentazione). Ma soprattutto non dobbiamo dimenticarci che complessità significa che ci siamo dentro e che l’osservatore modifica l’osservato. Se vuoi capire impara ad agire (lo ha detto Von Foerster). Ne ho già parlato anni fa in una tesina di diploma all’MRI (Mental Research Institute) dove mostravo che per l’appunto non abbiamo più bisogno di nuovi modelli ma di modelli che modellizzino il formarsi dei modelli. Paradossale? Si, certo, appunto.