“I taxi erano disposti in un cerchio completo e sembravano una carovana che si fosse preparata per la notte formando una difesa contro gli apache, il fisco, i concorrenti che facevano prezzi stracciati e la gente intenzionata a prendersi quello che riteneva le spettasse di diritto”.

Jo Nesbo (Polizia, 2013, p. 483) è meglio di Dickens, così come celebrato da Marx. E ve lo dimostro subito. Chi sono quelli da cui ci si difende mettendosi in cerchio? Lo stato (il fisco), il mercato (i concorrenti), i clienti, utenti e consumatori (la gente intenzionata a fare giustizia). 

E gli apache? Quelli sono nei film. E li sta la verità del nostro tempo (che Marx non poteva cogliere): è dall’immaginazione che ci viene il modello di realtà. I nostri profeti sono registrati su youtube. 

Fine della storia? Forse, eppure… perché gli apache mi ricordano quella cosa che non ha né forma né storia, che giace nel passato perché brama redenzione nel futuro, che emerge nel possibile per reclamare quanto non è riuscita ad essere e “sogna la fine del duro servir” (primo coro dell’Adelchi di Manzoni, che non cito a caso)?
 
Perché gli apache mi sembrano l’avatar, televisivo e spettacolare, di quanto oggi meno che mai si riesce ad evocare, o vocare o avvocare… ovvero il popolo? 
 
Si parla tanto di stato e mercato, di mercato contro stato e stato contro mercato, ma ecco che un volgare (sic!) scrittore di best sellers ci fa balzare addosso il popolo, gli apache. 
 
E tu dove stai? Chi sei? Sei un apache o uno della polizia? Oppure in quanto lettore li sogni tutt’e due?