Inaugurato da Marc Sautet all’inizio degli anni ottanta a Parigi, consiste in una riflessione comunitaria assai libera su un tema scelto sul momento, assieme ai partecipanti. Tradizionalmente svolto in veri e propri caffè, ha nell’estemporaneità, nell’immediatezza e nelle caratteristiche tipiche dell’evento e dell’happening i suoi punti distintivi. Il suo fascino consiste nel riprendere la pratica tipicamente illuministica di discussione pubblica nei caffè, pratica che si diffuse per costruire spazi culturali “popolari” liberi, al di fuori di quelli, vecchi e cristallizzati,  colonizzati  dalle istituzioni dell’Ancien Regime.  Al di là della tradizionale formula di Sautet, i Cafè Philo che si sono diffusi in tutto il mondo si sono evoluti in modelli spesso meno spontaneistici e un poco più strutturati, ma in questo caso si configurano più che altro come una delle tante versioni dell’atelier o laboratorio filosofico.

 

Come si svolge

Come accennato sopra, il Cafè Philo, a differenza per esempio della Comunità di Ricerca, non ha una struttura definita e tollera la presenza di molte persone (anche una quarantina, il che comporta che alcuni non parlino). Sono mantenute le regole principali della conversazione filosofica: rispetto dell’altro e delle sue opinioni, propensione all’inclusività delle tesi altrui, garanzia della democraticità della circolazione della parola. Le persone prendono la parola liberamente e il traffico conversazionale viene gestito dal facilitatore, che a fasi abbastanza regolari riformula e riassume quanto accaduto evidenziando gli snodi concettuali e le scelte possibili, riservandosi la possibilità, come del resto sempre accade nelle pratiche filosofiche, di assumere in certi casi il ruolo di stimolatore, protettore o provocatore.

 

Cosa accade

Nel Café Philo il partecipante può fare pratica del filosofare sperimentando con gli altri abilità di ragionamento e argomentazione in un modo abbastanza ludico e relativamente disimpegnato, “leggero” in senso positivo, come nelle conversazioni da salotto veramente ben fatte di antica memoria (anch’esse tipicamente settecentesche). Del resto vi si sperimenta anche la possibilità di sviluppare un pensiero aperto all’ascolto e al dialogo, libero e in cerca di nuove soluzioni, capace di coinvolgere la persona in ogni sua dimensione: cognitiva, emotiva, esistenziale, esperienziale, comportamentale. Il tutto senza alcuna difficoltà tecnica, se non quella di definire in modo perspicuo i termini che si utilizzano, ovvero prendendosi la responsabilità di quello che si dice