La psicomotricità relazionale è una disciplina che ha raggiunto una discreta notorietà, soprattutto in ambito educativo, in Italia, durante gli anni ’80, con l’opera di Bernard Aucouturier e André Lapierre (con cui ho fatto alcune esperienze, abbastanza lunghe, impegnative e intense). Questa disciplina pose attenzione alle relazioni tra strutture motorie sottocorticali e i centri di integrazione delle emozioni (ipotalamo) evidenziando come la dimensione affettiva e psichica fosse direttamente collegabile alla  corporeità, alla sensorialità e alla motricità. In tal modo gettava un primo ponte robusto – negli anni ’70 – tra il corpo e lo spirito, almeno nella sua dimensione affettiva, e dava fondamento a tutti i metodi di rilassamento e alle concezioni sottostanti a molte pratiche orientali.

Al di là della base teorica, a seguito di oltre trent’anni di ricerca nelle neuroscienze, la psicomotricità relazionale è interessante per le sue metodologie pratiche, basate essenzialmente sull’esclusione della parola.

Il training avviene per lo più in situazioni di gruppo, con poche consegne e l’utilizzo di alcuni oggetti-stimoli (corde, stoffe, palloni..) in un contesto dove la musica gioca un ruolo importante, soprattutto come induttore di emozioni. A differenza dell’espressione corporea danzata, tuttavia, la psicomotricità relazionale non si focalizza sul rapporto con la musica, ma caso mai sulle interazioni spontanee tra i membri del gruppo. Il fatto di escludere la parola e di lavorare su tempi abbastanza lunghi (sessioni anche di un’ora o due, laddove il training classico prevede intere settimane di lavoro per tutto il giorno) comporta una notevole disattivazione di tutto ciò che è riconducibile in modo forte e prioritario alla dimensione cognitiva, focalizzando attenzione, azione e interazione sul rapporto tra movimento, emozioni e sensazioni (ovvero le tre categorie fondamentali degli atti secondo il paradigma dell’Intelligenza Empatico Sociale). Di qui il suo interesse per noi.

Una sessione di psicomotricità relazionale mette in campo un’enorme quantità di materiale, che può essere variamente utilizzato a secondo degli scopi. In particolare (e non esaustivamente):

 

  • Formazione e sviluppo personale

 

  • Team building e team working

 

  • Sviluppo del clima e delle relazioni tra persone

 

  • Sviluppo di leadership

 

  • Selezione e valutazione

 

  • Formazione formatori

 

  • Sviluppo di IES

 

Infine va detto che la capacità di queste tecniche di fare “scoprire” il mondo del non verbale, che resta spesso sottottraccia anche per chi ne viene avvertito nei corsi di formazione in cui si dice che conta per il 70% della comunicazione, è straordinaria, potente e spesso anche parecchio sollecitante.